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Spedizione
dei Mille - 1860/1861
Campagna di Sicilia Località rese memorabili da fatti di guerra Messina (nel 1860 contava: 103.324 abitanti) |
Sulla
facciata di un palazzo sorto sull'area di un edificio demolito, già
proprietà dell'inglese Eaton, sito in viale della Libertà,
angolo torrente Trapani, si trova una LAPIDE rievocante il
discorso tenuto da Garibaldi ai Messinesi nel 1860.
Sulla facciata del palazzo Salvato, in via Garibaldi 248, una LAPIDE ricorda l'ingresso di Garibaldi il 27 luglio 1860. Dopo la capitolazione di Palermo (6 giugno), la città di Messina restava la più importante base di resistenza nell'Isola, la sola dalla quale, come testa di ponte, i borbonici avrebbero potuto muovere per la riconquista della Sicilia. Essa fu quindi apprestata fortemente a difesa. L'8 giugno erano giunte a Messina le truppe del generale Clary ritiratesi da Catania, circa 5000 uomini, fra cui quelli ripiegati da Girgenti comandate dal generale Afan de Rivera. L'11 giugno le forze borboniche (11-12 mila uomini), sotto il comando del Clary, erano distribuite nei forti sovrastanti la città, in quattro conventi e nella Cittadella; reparti avanzati erano alla Scaletta, sulla costa ionica (km 14 verso S) e sui Monti Peloritani, fino a Gaggi nella Valle dell'Alcantara, a circa 10 km da Taormina; Milazzo era fortemente presidiata. Caduta Milazzo, l'esercito garibaldino, che frattanto si era ingrossato per l'affluire di nuove schiere e che aveva raggiunto i 10 000 uomini, si accingeva a guadagnare le alture dominanti Messina. Il 25 luglio Garibaldi inviò la divisione Medici a Spadafora sulla strada di Messina; l'avanguardia, raggiunto Gesso, si scontrò con un battaglione borbonico che vi stanziava; ne seguì un lungo ma insignificante combattimento, dopo di che i borbonici si ritirarono. Intanto il Clary, per istruzioni ricevute da Napoli, dimostrò di voler sgombrare la città, che aveva già votato il plebiscito, purché gli avamposti sospendessero il fuoco. Questo cessò nella notte dal 25 al 26, il Clary ritirò i suoi dalle posizioni avanzate e sguarnì quelle tenute in città, che furono occupate dalla Guardia Nazionale. Portatesi il Medici a Messina per intavolare trattative col Clary, ne seguì una convenzione (stipulata il 28 luglio), secondo la quale i 12.000 borbonici alle sue dipendenze avrebbero sgombrata la città, conservando soltanto la Cittadella e le altre fortificazioni del porto, col patto che vi rimanessero inattivi; i garibaldini vi sarebbero entrati contemporaneamente, occupando i forti Castellacelo e Gonzaga, sulle alture immediatamente a Ovest della città. La guarnizione borbonica fu ridotta a 3500-4000 uomini e il resto delle truppe fu imbarcato. La divisione Medici entrò in Messina la mattina del 27 luglio e nel pomeriggio dello stesso giorno vi giungeva Garibaldi. In previsione di una spedizione garibaldina in Calabria, lo Stretto di Messina era vigilato dalla flotta borbonica; incrociavano il mare anche navi da guerra francesi, inglesi e sarde. A difesa della, terraferma erano dislocate le brigate borboniche dei generali Ghio, Melendez, Briganti e Caldarelli (circa 17.000 uomini), agli ordini del generale Vial. All'estremità orientale dell'Isola, e precisamente alla Punta del Faro, Garibaldi aveva costituito un campo di raccolta di considerevoli contingenti garibaldini e l'aveva sistemato a difesa con numerosi cannoni posti in batteria: testa di ponte da cui muovere per il forzamento dello Stretto. L'8 e il 12 agosto furono effettuati sulla costa calabra sbarchi di piccoli scaglioni, che servirono a mantenere in allarme i borbonici Ma il passaggio in forze nel Continente dovette essere sospeso, avendo Garibaldi dovuto portarsi il giorno 12 in Sardegna. Soltanto il 19 agosto aveva luogo lo sbarco dei garibaldini a Mélito Porto Salvo, il punto all'estremo S della Calabria. Intanto la Cittadella e le fortificazioni del porto di Messina continuavano a essere presidiate dai borbonici, che vi avevano circa 4300 uomini. Il 13 febbraio 1861, giunta la notizia della caduta di Gaeta, venne intimata la resa della Cittadella al maresciallo Pergola, che era subentrato fin dal 9 agosto al Clary nel comando delle forze borboniche rimaste, ma senza esito. L'intimazione fu ripetuta il 17, e fu ancora respinta. Il 19 febbraio arrivò in porto la squadra dell'ammiraglio Persano; furono sbarcate artiglierie d'assedio e forti contingenti dell'esercito italiano. Il comando delle operazioni fu assunto il 25 dal generale Cialdini, che poteva disporre di 8600 uomini e di 55 cannoni. Poiché il 6 marzo fu dato inizio all'apprestamento di batterie sulle alture a Ovest della Cittadella, il Pergola tre giorni dopo iniziò un bombardamento di disturbo, controbattuto dagli assedianti. Il duello delle artiglierie continuò nei giorni seguenti, finché, a partire dal mezzogiorno del 12, il Cialdini fece intensificare l'azione dei suoi cannoni rigati contro la Cittadella e le altre opere fortificate. Dopo 5 ore finalmente gli assediati alzarono bandiera bianca, e alle 21 del 12 marzo il Pergola si arrese. Il mattino seguente il Cialdini entrava nella Cittadella, dove furono trovate 445 bocche da fuoco e molte altre armi e materiale da guerra. La Cittadella fu poi smantellata a furia di popolo. |
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