Origine della fortezza e sue vicende fino al 1615 Al di fuori di questa approssimata raffigurazione della fortezza, esistono documenti attestanti l'esistenza di una moschea araba, aderente al Castello, ritrasformata in Chiesa dai Normanni e da questi dedicata san Giovanni Battista. Un'altra antica chiesa, sempre periodo normanno, era inserita nelle fabbriche della fortezza : si tratta della Cappella della Bagnara. Oltre alle notizie attestanti l'esistenza di queste due chiese, non si conosce altro del Castello a mare che riguardi le sue fabbriche né le sue forme architettoniche mentre bene se ne conosce la storia, sempre intimamente legata ai fatti più salienti delle vicende palermitane e siciliane. Nel 1333 le galee di Roberto d'Angiò tentarono di impadronirsi del Castello, senza tuttavia. riuscirvi. Di certo è cheFederico II d'Aragona soggiornò nella sicura fortezza nel 1374. Il Castelloammare, data la sua posizione strategica per la difesa della città, ed insieme per la possibilità che offriva ai suoi reggitori di difendersi dalla città, venne nel tempo continuamente ingrandito, restaurato, rinnovato nelle sue opere di difesa. Nel secolo XIV il Castello consisteva in una serie di fortezze minori circondate da profondi fossati per il lato rivolto alla terraferma, in cui si apriva una grande porta in direzione della città, ed era già munito delle tristi e orrende prigioni sotterranee che saranno in seguito usate, con notevole successo, dall'inquisizione domenicana. Nel 1496 Ferdinando il Cattolico fece costruire, davanti alle fabbriche del Castello, un corpo d'ingresso, consistente in due basse torri esagonali, divise da un muro nel quale era aperta la porta. In seguito, sempre per iniziativa del sovrano cattolico, fu costruito un torrione circolare, sulla sinistra del corpo d'ingresso. Nel 1517 il governo vicereale pensò bene di trasferirsi dal Palazzo dei Chiaramonte al Castello a mare, per maggior sicurezza e in previsione di una fuga dal ben governato popolo. Durante la prima metà del secolo XVI, l'uso ormai corrente delle artiglierie portò ad alcune trasformazioni della fortezza e a sue nuove sistemazioni; furono costruiti infatti, tutt'attorno alla cerchia muraria, i bastioni del Castello a mare, grandi masse compatte di muratura e terra, atte ad assorbire l'azione dinamica svolta dalle batterie poste sopra. Un passo del Fazello ci dà qualche indicazione su questi lavori di fortificazioni del 1558. « ... la rocca vecchia, che si chiama Castel da mare, perché tre parti di esso sono percorse dal mare, e fu fatto da vecchi per la guardia porto, ma i Saracini ci fecero sopra una moschea in onor di Maometto, i quali, essendo vinti, cacciati da Roberto il Guiscardo, e da Ruggero suo fratello, fu poi restaurata come si scrive negli annali dei Siciliani, e nella vita di Ruggero, ma al mio tempo da Carlo V Imperatore è sta fortificata con fortissimi bastioni, e baluardi... » In questi lavori di adattamento della fortezza alle nuove tecniche militari venne demolita la vecchia moschea araba riadattata a chiesa dai Normanni. Durante la permanenza dei viceré al Castellammare, nacquero nella fortezza don Francesco Gonzaga e don Giovanni Vincenzo Gonzaga entrambi divenuti, in seguito Cardinali. Per adattare in qualche modo gli spogli ambienti della fortezza al lusso consono alle persone vicereali, il Castello a mare fu dotato di preziose opere d'arte, fra le qui due magnifici arieti di bronzo, capolavoro greco del III secolo, uno dei quali ci è rimasto, conservato al Museo archeologico di Palermo. Nel 1487, sotto Ferdinando il Cattolico venne a Palermo, il primo inquisitore, che prese residenza al Castello a mare, nel 1551, sotto il viceré De Vega. Le tristi prigioni del Castello, piccoli luridi buchi sotterranei dove a stento entrava un uomo, conobbero allora centinaia e centinaia di vittime. Il tribunale ecclesiastico dell'inquisizione rimase nel Castello a mare fino al 1593, anno in cui una forte esplosione procurò un gran numero vittime, tra perseguitati e persecutori, convincendo i domenicani a cambiare sede; così di quell'avvenimento ci parla un diarista dell'epoca: « Il 19 d'agosto, ad ore quindici circa. A Castellammare di questa città di Palermo incappò fuoco a due dammusi [stanza coperta da volta] di polveri; ed essendo vicino le carceri, tutte le scacciao. E morsiro anco diversi soldati e donne dentro il Castello, avendo fatto due botti straordinari, che si sentirono per diverse terre. S'aprirono pel tal terremoto diverse case ed ecclesie, avendo lasciato alcuni padri il sacrificio della messa per paura. E gli uomini che si trovavano si mettevano nei sacchi, tanto erano capoliati e pestati dalle pietre. Si trovavano diversi pezzi d'uomini per infino nelle noare [spazio di terra in cui si coltivano ortaggi] fuori la porta di S. Giorgio; e in mezzo la marina una testetta uccise uno zingaro; e tanto fu il fumo che oscurò il sole. E pure innalzò tanto polverazzo e scaglie, che piovve per la città per lo spazio di un miserere terra abbrugnata. Si trovarono dopo, a capo di tre cinque e sette giorni, uomini vivi sotto terra... mentre stavano scavando li morti. L'ill.mo monsignor Paramo inquisitore stava in detto castello; e stette male, curandosi in lo convento di S. Domenico...era viceré il conte d'Olivares, castellano di Salazar ». In questo disastro morì anche il poeta monrealese Antonio Veneziano, detenuto al Castello a mare per via di un cartello satirico contro il vicerè, appeso « ... alla cantonera di don Pietro Pizzinga, allo piano delli Bologni » e torturato nelle prigioni della fortezza, come l'infame procedura penale del tempo comandava; il poeta ebbe, per quel cartello,ben sette tratti di corda, fu rinchiuso in una delle orrende celle, e qui trovò la morte nel disastro ricordato. I domenicani, in seguito a questo scoppio che aveva procurato oltre duecento vittime, pensarono che era bene trasferire altrove la loro evangelica carità, scegliendo come sede del proprio tribunale lo storico Palazzo Chiaramonte. La sede delle prigioni restò tuttavia per un altro periodo nel Castello a mare, esattamente fino al 1609, anno del trasferimento dei luoghi di delizia dei prigionieri dell'inquisizione allo « Steri » , dopo una breve utilizzazione della « Vicaria ». Vicende storiche e descrizione del Castello a mare dal 1615 al 1820 Lo studioso Di Giovanni ci ha lasciato un'accurata descrizione del Castello quale era nel secolo XVII (la descrizione in questione è riportabile al 1615): « ... il Castello ha un robustissimo bastione, sopra il porto, fornito di una assai bella artiglieria; segue una cortina e, dopo, un baluardo, e poi un grosso torrione, ed un bastione sotto il torrione tutti ben forniti di artiglieria ove si fanno le debite guardie sentinelle. Il Castello fin qui è tutto circondato dal mare ma girando verso tramontana, segue un bellissimo bastione, che guarda verso il porto grande, e da ponente guarda la città, e anco fornito di grossissima artiglieria ... questo bastione... ha nel mezzo un grosso torrione, per ove per due lunghi ponti di legno, per il fosso, si entra nel predetto Castellammare; e s'alzano per l'entrata con catene questi due gran ponti. Ha il Castello una amplissima piazza, con un gran maschio nel mezzo, nel qual vi è una a altissima antenna, ove si albera lo stendardo reale. Ha questo maschio assai belli pezzi di colombrine, che salutano da lungi circa quattro miglia ». « Vi sono dentro belli edifici, e per il castellano, e per i signori inquisitori che ivi prima stavano, e se ne uscirono quando successe l'incendio del Castello. Ha per guardia circa quaranta soldati ... vi era prima la carcere ... che si dismise per detto incendio ... nel quale circa 600 carcerati se ne volarono per l'aere.. .vi sono carceri segreti ma crudelissime... ». Davanti al Castello, innanzi al corpo d'ingresso aragonese, era un vasto spazio dove talvolta la "giustizia" del tempo, o la chiesa dell'inquisizione, davano spettacolo ferocia, in pubbliche esecuzioni, impiccagioni, roghi, a solazzo e ludibrio di una plebe mantenuta nell'ignoranza. « Con tutti i mezzi possibili da un potere politico e da una chiesa che proprio nell'ignoranza trovavano il proprio più valido alleato ». Dopo l'abbandono del Castello a mare da parte degli inquisitori, la fortezza venne ancora usata, più che contro pericoli esterni, come baluardo e freno ai fermenti di rivolta che, di quando in quando, la miseria e la disperata volontà di riscatto accendevano nel popolo palermitano. Nel secolo XVII altre opere di difesa e di costruzione vennero a irrobustire le fortificazioni del Castello a mare che dovette giocare un piccolo ruolo durante una battaglia navale franco-spagnola, così descritta dall' Auria: « Un vascello francese tirò una cannonata, con palle di moschetto, alla cortina del Castello a mare, fra i due torrioni, dove assisteva il castellano a far sparare l'artiglieria, con moltissima gente: e se giungevano un poco più a segno, avrebbero fatto grande strage, essendo il Castello, dalla parte del mare, debolissimo, e tutto scoperto, e di fabbriche mezzo rovinate dal tempo... » La battaglia volgeva in favore dei francesi fino all'intervento delle artiglierie delle maestranze cittadine che ne rovesciarono le sorti. Il Castello a mare sarebbe stato ancora protagonista di molte vicende e battaglie, memorabili quella del 4 luglio 1718 fra i savoiardi, asserragliati dentro, e spagnoli. Un forte movimento sismico, che avrebbe distrutto molti edifici di Palermo, procurò nel 1730 alcuni danni al forte, che vennero però riparati celermente, data la sempre preminente funzione tattica della fortezza. Altre battaglie seguirono, che ebbero, in qualche modo, il Castello a mare come protagonista; sono da ricordare quelle combattute fra Austriaci e Borboni, che ebbero termine con la resa della guarnigione austriaca del forte a questi ultimi, il 12 settembre 1734. In seguito allo stabilirsi e consolidarsi del governo borbonico, il forte servì solo come monito e freno alla città, ormai definitivamente addormentata dopo i secoli di viceregno spagnolo, di inquisizione, di potere ecclesiastico. Ultime vicende degne di nota che coinvolsero il Castello a mare furono quelle che riguardarono il nobile tentativo da parte dei liberali, esperito infelicemente contro il potere borbonico, e la cui ultima battaglia si combatté proprio nella fortezza. La distruzione del Castello a mare La fortezza del Castello a mare, data la sua utilizzazione continuata nel corso di vari secoli, si andò a mano a mano ingrandendo attorno ai suoi nuclei più antichi, in parte assorbendoli, in parte distruggendoli durante i vari rifacimenti e le nuove edificazioni. Nel 1558 fu demolita antichissima moschea, ritrasformata in chiesa dai Normanni, ricordata nelle più antiche cronache del Castello. L'altra chiesa normanna fu demolita, molto più recentemente, nel 1834. E cosi via fra costruzioni e demolizioni, fino al fatale 1923, anno in cui il Castello a mare si presentava come enorme complesso architettonico, ricco di strutture e fabbriche di varie epoche: un grande maschio di epoca araba, con un'iscrizione epigrafica sul suo basamento, alcune parti normanne, bastioni e zona d'ingresso quattrocentesca, un palazzetto rinascimentale, una chiesa cinquecentesca, la Madonna di Piedigrotta, e molte altre parti ancora. Fino al 1923, dicevamo, ed infatti dal giugno al dicembre di quell'anno lo storico forte venne coscienziosamente demolito mediante cariche di dinamite, con il pretesto sistemare il nuovo porto di Palermo. Scrive il La Duca autore di una dottissima memoria sullo storico forte: «...a nulla valsero allora le proteste della parte intellettuale della cittadinanza, e anche l'autorevole voce della: "Società per Storia Patria" elevatasi in difesa di un monumento legato alla storia del risorgimento siciliano ». |
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