Con questa rassegna di artisti Siciliani, non intendo parlare di scuola siciliana, ma di quella che, fuori delle botteghe d'arte, l'amore di chi vi nasce può dare. In Sicilia, son venuti in ogni epoca artisti di altri paesi che hanno notevolmente influenzata l'arte locale; cosicché, in mezzo ai moltissimi mediocri che si sono lasciati trascinare, spiccano artisti i quali, possono dirsi universali e siciliani. Appunto per ciò trovo opportuno ricordarli perché gioverà non solo a ridestare nuova ammirazione per parecchie nobili figure di artisti poco conosciuti, ma anche a correggere giudizi affrettati o superficiali intorno a capolavori di profonda umanità e d'indiscutibile bellezza. Il primo rappresentante della pittura siciliana è Antonello da Messina, nato verso il 1430 e morto nel 1479. Può considerarsi il più originale e celebrato pittore del quattrocento, formatosi sulla tradizione fiamminga. Sebbene le poche notizie biografiche e come tenne i suoi rapporti con gli altri centri artistici della penisola, è fuor di dubbio ch'egli dimorò anche a Milano e a Venezia, e la sua arte, anticipatrice della più insigne pittura italiana, influenzò notevolmente i maggiori pittori del tempo, specie nella Lombardia, nel Veneto e nell'Emilia. Ancor che non sia esatto quello che afferma il Vasari (essere stato Antonello a usare per primo in Italia la pittura ad olio), è indubbiamente merito suo l'averla per primo diffusa e l'aver dato un accento alla tecnica fiamminga. Artista di grande emotività e di straordinaria potenza, oltre che interpretare mirabilmente la natura, seppe spesso avvantaggiarla e superarla. Della sua arte sono documenti immortali: il Cristo benedicente della National Gallery di Londra, il San Sebastiano di Dresda, La Madonna di Messina, e il quadro dell’Annunciazione che si trova nel Museo di Siracusa. Dopo Antonello in ordine di tempo e per forza espressiva, viene Pietro Novelli nato a Monreale nel 1603 da Pietro Antonio e morto a Palermo nel 1647. La sua arte giovanile ispirata dapprima alla scuola di Raffaello, (vedere il suo Gesù tra Maria e Sant’Anna nel museo dei Benedettini a Catania), si orientò presto verso quella del bruno e nervoso Van Dych tanto innamorato della Sicilia, si spiegano così il suo cambiamento di tono e di colore. L’arte di Novelli maturo, che ha già preso contatto con gli ambienti romano e napoletano e risente l'influenza del Ribera, diviene ancor più emotiva, di più ampio respiro, varia nei tipi eppur sempre caratteristica e personalissima nella pennelleggiatura larga e nella vivacità delle tinte, come comprovano La vocazione di Mattia a Leonforte L’Assunta in Ragusa e il San Benedetto che benedice i pani in Monreale. Anche il seicento ebbe in Sicilia dei pittori valorosi, degnissimi di essere ricordati. Bastano i nomi di Olivio Sozzi e di Pietro Paolo Vasta ad evocare magie di affreschi dalla esecuzione rapida e sicura, che rivela i veri (anche se non fortunati) artisti. L'Ottocento siciliano vanta Giuseppe Sciuti, nato a Zafferana Etnea nel 1834 e morto a Roma nel 1911. Rievocatore di chiassose scene storiche egli possedeva il senso della scenografia e il gusto del colore violento che contraddistingue l'Ottocento napoletano, (ricordiamo il telone del Teatro Massimo catanese, Píndaro che esalta un vincitore ai giuochi olimpici, I funerali di Timoleone, ecc.). Ma oggi i suoi nudi, le sue masse architettoniche, i suoi cieli paurosi e i suoi abili effettì di luce e di rilìevo ci dicono meno di quanto un tempo ci dìcevano, anche se lo Sciuti resta sempre il pittore delle folle, ispirato ad una grandiosa romanità. Altro rappresentante della scuola napoletana fu Paolo Vetri, discepolo e genero di Domenico Morelli. Egli nacque a Enna nel 1855 e morì a Napoli nel 1937. Lasciò degli affreschi suggestivi in varie chiese della Sicilia e del continente. Meritano d'essere ricordati i suoi dipinti: Dolore materno (esposto a Berlino), una Scena pastorale (esposta a Londra), Zingara (esposta a Venezia). Insegnò per un trentennio nell'Istituto dì Belle Arti a Napoli e scrisse sulla Teoria della visione e della prospettiva. Sono da ricordare i pittori catanesi, dal Rapisardi al Gandolfo, dall'Attanasio all'Orobona; e ancora Paladino, Vaccaro, Di Bella, Di Bartolo, Reina, Liotta, Guzzone, Patania, artisti vissuti in un periodo dí sentimentale verismo e di pittura declamatoria, che non poterono sottrarsi alla moda del tempo, ma con grande amore cantarono la terra e la gente di Sicilia. E ricorderemo con particolare interesse Zenone Lavagna, morto assai giovane per lasciarci quello che il suo ingegno aveva promesso, e Antonio Barbera finito poco più che ventenne, strano e ardente ragazzo che fece della sua vita una continua favola bella. I disegni che ci ha lasciato sono appunto lampi di una singolare attività creativa, sdegnosa di applicarsì al mestiere e paga di godersi come in sogno le proprie visioni di bellezza. Il primato della scultura siciliana spetta ad Antonello Gagini (1478-1536), che, aiutato dai suoi figli Antonio, Fazio, Giacomo e Vincenzo, scultori esimi, tenne, potremmo dire, il monopolio artistico del suo tempo e fece fronte a un numero esorbitante d'incarichi. Non poteva certo giovargli il lavoro in comune con figli e scolari: ma agli occhi dei competenti non è difficile distinguere le opere di bottega da quelle che uscirono dalle mani di Antonello. La grazia e la squisitezza della sua fattura sono veramente inconfondibili. Prodigiose le belle teste pensose della Vergine, come quella della Madonna della Scala in Palermo e l'altra dell'Annunziata in Bronte; e ammirevoli il San Giovanni Battista di Castelvetrano e il Crocifisso di Alcamo. Che dire poì del monumento al cardinale Paternò Castello ? La grande figura del Prelato distesa sulla pietra sepolcrale ha una maschera di tale efficace e severa bellezza, che la materia sembra quasi sparire e ci si trova sgomenti dinanzi al mistero della morte. Anche fecondo ed instancabile fu il palermitano Giacomo Serpotta (1656-1732). Egli è fra i più grandi artisti del suo secolo, ed è, fuori d'ogni dubbio, il maggiore rappresentante dello stucco. Delle sue opere in marmo e in bronzo, ricordate con ammirazione dalle cronache del tempo, non ci resta nulla; ma dei suoi stucchi, in cui si presenta modellatore insuperabile squisito e disinvolto, abbiamo una larga documentazione in chiese ed oratori di Palermo; ed essi (siano ornati o angeli o belle ed allegoriche figure muliebri) testimoniano ad esuberanza la grande fecondità e genialità del Serpotta, nessuno nella decorazione ha saputo mai rendere come lui « la poesia dell’infanzia in quel folleggiare di putti rappresentati in ogni capriccìo, in ogni giuoco, in ogni espressione di gaiezza e di ingenuità ». Altro scultore fu Domenico Trentacoste, nato a Palermo nel 1859 e morto a Firenze nel 1933. Visse parecchio tempo a Parigi, dove si fece notare per la sua Testa di vecchio. Sia in Francia che in Italia dedicò gran parte della sua attività al ritratto; ma la sua migliore personalità si rivela nei lavori di fantasia, tutti venati di malinconico tormento. Il suo Seminatore, esposto alla Biennale Veneziana del 1903, lo fece passare per modernista d'avanguardia. Nella maturità l'arte del Trentacoste si orientò verso una perfezione formale e un senso di serena bellezza che contrassegna le sue opere più significative: Ofelia, La derelitta, Pia dei Tolomei, raccoglimento, La dormente, San Francesco. Ricca di nomi è la nostra architettura, che appare insigne fin dal quattrocento. Visse infatti nel secolo XV° Matteo Carnelivarí da Noto, al quale si assegnano i palazzi Abbatelli e Aiutamicristo e la chiesa della Catena in Palermo. Di stile vigoroso e insieme arioso, egli riusci a fondere il pittoresco gotico spagnolo con l'architettura palermitana del trecento, usando promiscuamente e con ardita originalità arcate diverse e decorazioni bizzarre e complicate. Al secolo XVII appartengono i due Amato: Paolo (nato a Ciminna nel 1634 e morto a Palermo nel 1714) e Giacomo, chierico regolare, da Palermo (1643-1732). Di Giacomo è la Chiesa della Pietà; di Paolo sono da ricordare: la Chiesa del Salvatore a pianta ellittica, le decorazioni della cappella di Santa Lucia, la porta della Chiesa di Valverde e la Fontana del Garraffo. Di poco posteriore agli Amato è l'íncisore ed architetto Filippo Juvarra da Messina (1676-1736). Egli studiò a Roma sotto Carlo Fontana e s'ispirò, più che all'arte del Bernini, all'architettura barocca del Borromini. Oltre che a Lucca e a Firenze, lavorò a lungo in Torino, dove ebbe parecchi incarichi da Vittorio Amedeo II°. Esegui il disegno della Cattedrale di Lisbona e poi, per invito di Filippo V di Spagna, si recò a Madrid, dove si spense nel pieno della sua attività, appena ultimato il progetto del Palazzo Reale. Della prodigiosa fecondità juvaresca abbiamo (senza contare le innumerevoli opere decorative, specialmente in altari) molti ed insigni monumenti, fra cui citiamo il Seminario di Torino, il palazzo del Senato, la chiesa di Santa Croce, gli ammirevoli disegni e decorazioni della Villa di Venaria, il castello di Rivoli, il palazzo Richa di Covasolo e quei gioielli d'arte che sono la facciata del Palazzo Madama a Roma e l'esterno della basilica di Superga, vicino Torino. Finisco questa piccola rassegna di artisti col nome dell'abate Giovanni Battista Vaccarini, nato a Palermo nel 1702 e morto a Milazzo nel 1768. A lui, che tanto si adoperò per la ricostruzione di Catania, tragicamente sconvolta dal terremoto del 1693, non saranno mai abbastanza grati i catanesi, il Vaccarini grande architetto costruì ed abitò a Catania e nella quale, attraverso molti anni d'intenso lavoro, nacquero tanti disegni di palazzi, di chiese, di ville, di chiostri, che abbellirono la rinascente città, come: la Badia di Sant'Agata, dell'Almo Studio, la fontana dell'Elefante, la Chiesa di San Giuliano e il cortile del Collegio Cutelli. |
il 26 giugno 1999 ed è opera di: Mario Grifasi tutti i diritti sono riservati ed è interdetta la riproduzione sia cartacea che elettronica. |
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